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Il bambino giocoso
Il piacere di autoeducarsi giocando gli apprendimenti nelle esperienze quotidiane
da Bambini, n. 10, dicembre 2015, pp. 46-49
Autore: Andrea Ceciliani (ricercatore e docente in Teorie e didattiche dell’attività motoria presso il QUVI, Università di Bologna)
Il gioco è una cornice d’azione che si attiva a discrezione del bambino con la parola d’ordine: “Giochiamo?”. L’attenzione al processo del giocare, piuttosto che al suo risultato, rende il gioco un ambito elettivo di sviluppo e maturazione che consente al bambino di affrontare serenamente e adeguatamente il suo percorso di sviluppo. L’adulto, invece di interferire con il gioco infantile, deve osservarlo, comprenderlo, sostenerlo e rilanciarlo per facilitare l’agire di ciascun bambino e aiutarlo a crescere nella pienezza del suo essere originale e irripetibile.
Premessa
Il gioco è il comportamento che più di ogni altro identifica l’età infantile tanto da sollecitare l’idea che tutte le attività svolte dal bambino (nota 1) siano ascrivibili al “giocare”.
Se pensiamo al piacere che il giocare produce, possiamo affermare che molte attività infantili sono correlate alla gioia di muoversi, al piacere di provare le sensazioni cinestesiche provenienti dal corpo, al senso di consapevolezza di se stessi e dell’ambiente circostante. Non per questo, però, il bambino gioca sempre, in tutte le attività che realizza, visto che per altri aspetti si dedica anche a momenti di assimilazione in cui è serio, concentrato, assorto in quello che fa. Il gioco si realizza nei momenti di accomodamento in cui vengono applicate le percezioni e conoscenze acquisite al piacere di ripetere determinate attività o azioni in forma solitaria o con i pari (Baumgartner, 2002).
Il bambino dunque non sempre gioca ma si dedica anche ad attività in cui lavora su di sé e sull’ambiente che lo circonda, nell’intento di scoprire, conoscere e fare proprie nuove conoscenze che solo successivamente utilizzerà nel gioco vero e proprio.
La distinzione tra gioco e non gioco è stata bene individuata da Bateson (1996) attraverso il segnale molto chiaro che i bambini inviano quando desiderano entrare nella cornice ludica: “Giochiamo?”. Non può essere l’adulto a stabilire quando l’agire del bambino, indipendentemente dall’attività svolta, è gioco perché è il bambino stesso che decide il momento in cui accede in tale cornice per piegare la realtà al registro della finzione: indipendentemente dal suo contenuto, il gioco è tale per la sua struttura immaginifica, che rende accessibile la realtà allo stato emotivo-affettivo e cognitivo del bambino.
Il gioco allora non è semplice svago, come molti pensano, ma è potente mezzo di esercizio di sé all’interno di una cornice in cui corporeità, sensorialità, emozione, cognizione, coinvolgono tutta l’esperienza di sé del bambino, tutta la sua personalità, il suo processo di sviluppo e l’autoapprendimento: “Il gioco infantile costituisce lo strumento privilegiato per i bambini per conoscere, esprime- re, elaborare tutto il loro mondo inter- no e confrontarsi con quello esterno” (Nicolodi, 2000).
Giocare, tra le altre cose, introduce nella zona di sviluppo prossima- le teorizzata da Vygotskij (1987), ambito in cui il bambino supera le sue reali potenzialità per spingersi oltre e controllare una realtà più grande di lui, che lo sprona a “giocare” se stesso oltre le competenze possedute: “Nel gioco il bambino si comporta sempre come fosse al di là del suo comportamento quotidiano, nel gioco è come se fosse più grande. Come in una lente di ingrandimento il gioco contiene in forma condensata tutte le tendenze evolutive ed è perciò una delle maggiori fonti di sviluppo” (Vygotskij, 1981).
Il bambino, quando gioca, si impegna al massimo delle sue potenzialità cognitive e/o fisiche perché sa che non esiste nessuna conseguenza alle sue prestazioni, sa che può cimentarsi con piena gioia e serenità dando importanza al processo del giocare, piuttosto che al risultato, e non vie- ne minimamente sfiorato dall’ansia o
dal timore di fallimento. Per l’adulto, teso invece a raggiungere gli obiettivi previsti con il minimo dispendio di energia, questa filosofia appare lontana e, spesso, incomprensibile.
Lo stato mentale giocoso
Ciò che rende particolare la cornice d’azione del gioco è il concetto di stato mentale giocoso (Gray, 2015) che si evidenzia per una serie di caratteristiche peculiari:
- il processo è più importante del risultato (motivazione intrinseca) (nota 2). Il gioco del bambino è un’attività fine a se stessa, si realizza durante il suo esplicarsi, nel piacere del giocare, più che non sul risultato In altre parole, l’attenzione si focalizza sui mezzi più che sul fine. L’adulto deve essere attento a non enfatizzare troppo la prestazione e a sostenere affettivamente la gioia di agire manifestata dal bambino. La pressione sulla prestazione conduce il bambino fuori dalla cornice giocosa e lo ricolloca nell’ambito delle attività strutturate, meno libere, meno emotive;
- la libertà di giocare (autodeterminazione). Il gioco, fondamentalmente, è un’attività libera nel senso che rappresenta ciò che il bambino desidera fare, per il piacere e il gusto di farlo, rispetto a quanto gli viene richiesto di fare. Il gioco vero manifesta in sé la libertà di iniziare a giocare e la libertà di smettere in qualsiasi Per questa sua libertà mentale assoluta, il gioco rientra tra le attività in cui l’impegno è massimo e completo (Patall, Cooper e Robinson, 2008);
- la flessibilità della regola (autocontrollo). La regola (Figura 1) è una condizione indispensabile per giocare, tanto è vero che si è liberi di giocare ma non si è liberi nel giocare (Farné, 2010, 17), perché esiste la libertà di inventare, modificare o adattare le regole, ma non la libertà di violarle. Il gioco infantile dunque è determinato da regole che il bambino sceglie, modifica, concorda, patteggia ma alle quali si adegua con un grande esercizio di autocontrollo. Attraverso il giocare il bambino sviluppa il senso della regola, cioè l’importanza di assoggettarsi a delle normative per poter giocare, e la capacità di darsi una regola (autocontrollo), cioè rispettare i patti per non uscire dal gioco. Dal punto di vista educativo è stato dimostrato come i bambini prediligano giochi semplici, organizzati da poche e chiare regole e dinamici nella loro attuazione (Pierobon, Stefanini e Ceciliani, 2010).
Lo stato mentale giocoso è l’atteggiamento che rende il gioco un potente mezzo naturale di autoapprendimento, sostenuto dalla spinta evolutiva, dalla curiosità, dalla meraviglia tipica del bambino e dalla ricerca di continua relazione con l’ambiente che lo circonda. Se l’intelligenza senso-motoria o corporeo-cinestesica (Gardner, 1987) sono la base di sviluppo per tutte le intelligenze successive, il gioco ne rappresenta la cornice elettiva di sviluppo (Figura 2).
La cura educativa a sostegno del gioco
L’adulto deve farsi carico delle azioni di cura rispetto al gioco infantile e al suo manifestarsi nelle varie fasce d’età. Gli elementi cardine che possono guidare questa azione di cura sono ravvisabili nei seguenti indicatori (Figura 3):
- l’attenzione verso il gioco infantile. Se crediamo all’importanza del gioco è necessario dimostrare attenzione e rispetto verso l’attività ludica infantile (Tsao, 2002). Il bambino deve percepire questo interesse come rinforzo al piacere e alla gioia di giocare e deve poter restituire l’emozione mostrandoci cosa è stato in grado di fare, indipendentemente dal risultato;
- il tempo del gioco infantile. Quanto dura un gioco? Lo decide l’adulto o il bambino? Appare ovvia, richiamando la libertà che caratterizza il giocare e in particolare la libertà di smettere di giocare, la necessità di lasciare abbastanza tempo all’attività ludica senza confinarla in tempi organizzativi, quasi curricolari, imposti dal bisogno dell’adulto. Il bambino ha il diritto di giocare per un tempo congruo e non residuo. Quest’ultima scelta è quella di chi interpreta il gioco solo come cornice ricreativa e non certo educativa;
- il setting didattico. La predisposizione degli ambienti e dei materiali può orientare l’espressione ludica dei bambini. La presenza o l’assenza dei giocattoli o di piccoli attrezzi, ad esempio, può favorire l’espressione della motricità fino- motoria, nel primo caso, o grosso- motoria (nota 3), nel secondo, inducendo l’orientamento educativo dell’adulto senza ledere la libertà del bambino;
- la soluzione di conflitti. Il gioco infantile non è scevro da litigi o contrasti tra i bambini. La capacità di risolvere i conflitti è una delle principali competenze sociali e il gioco rappresenta una palestra ottimale affinché il bambino possa svilupparla (Hurwitz, 2002). L’adulto quindi deve aiutare i bambini a risolvere i loro litigi, senza sostituirsi a loro e senza risolverli d’autorità, piuttosto deve vigilare affinché il conflitto non trasformi in violenza la naturale aggressività umana (Ceciliani, 2009).
Gli atteggiamenti dell’adulto verso il gioco possono essere diversi (Figura 4), ma in linea generale dovrebbero mirare al suo sostegno e potenziamento, considerandolo una cornice evolutiva in cui favorire uno sviluppo gioioso e piacevole, caratterizzato da apprendimenti che il bambino possa acquisire senza stress o ansie eccessive e gradualmente trasferire alla vita reale.
Il gioco infantile
A partire dal primo anno di vita fino al termine della scuola dell’infanzia, potremmo evidenziare una ontognesi del gioco che segue il seguente percorso.
Il gioco senso-motorio
Rappresenta la cornice di gioco che soddisfa il naturale bisogno di movimento del bambino, nei primi anni di vita, attraverso attività piacevoli ed emotivamente pregnanti, che facili
tano la percezione del proprio corpo e la sua graduale distinzione da ciò che lo circonda. Le attività senso- motorie garantiscono il passaggio dai movimenti riflessi, presenti alla nascita, alle azioni basate su schemi motori sempre più articolati e complessi. Tale espressione ludica si realizza attraverso tre fondamentali cornici: l’esplorazione del proprio corpo, l’esplorazione dell’ambiente circostante e i giochi di ilinx (Caillois, 1995): correre forte, correre su terreni accidentati, saltare in basso, cadere, arrampicare (nota 4). Tra questi giochi annoveriamo anche quelli di rassicurazione profonda (nota 5): nascondersi ed essere ritrovati, riempire-svuotare, costruire-distruggere.
Il gioco pre-simbolico
Rappresenta l’attività ludica di passaggio tra i giochi senso-motori e i giochi simbolici e si esprime in due fondamentali cornici: il gioco di ripetitività creativa (reazioni circolari secondarie e terziarie), in cui i bambini usano la gestualità e gli oggetti senza operazioni simboliche su di essi ma al di fuori del loro contesto originario; il gioco di paura (l’orco, il lupo...), basato sull’essere rincorsi dall’adulto e basato su azioni esagerate (grida, sorrisi, mimica...) che possono essere interrotte dal bambino nei momenti culminanti per rientrare nella realtà: “Basta, basta, tu non sei il lupo, vero?”.
Il gioco simbolico
Compare verso i 3 anni e media la graduale acquisizione dell’autonomia e indipendenza insieme all’identità di genere (giochi di rassicurazione superficiale) (Aucouturier, 2005, p. 103 e ss.). Tale cornice ludica si basa sul far finta che..., sul come se… come simulazioni che prendono il posto della realtà: si diventa eroi o regine, si muore e si risorge, si assoggetta la realtà in una cornice controllata e impegnativa in cui si enfatizza il bene e si addolcisce il male. Il gioco simboli- co apre il percorso alla socializzazione perché è caratterizzato dalla relazione orizzontale tra pari, attraverso ruoli, gerarchie, compiti e alleanze sempre diversi. Esistono differenze di genere (Figura 5) in questi giochi che, generalmente, vengono pratica- ti in gruppi omogenei: femmine con femmine e maschi con maschi.
Il gioco competitivo
È rappresentato dalla cornice ludica della sfida e del confronto in cui il bambino tende principalmente a mettersi alla prova, a dare il meglio di sé in sfide e confronti che, in ogni caso, hanno valenza giocosa, piacevole, divertente. Si realizzano attraverso sfide indirette (chi corre più forte, chi lancia più lontano, chi salta da maggiore altezza...) e dirette: tiro alla fune, giochi di lotta… (Ceciliani, 2009). Tali giochi, spesso vietati dagli adulti, hanno un’alta valenza educativa rispetto al darsi una regola e all’autocontrollo e recano in sé due aspetti interessanti: l’organizzazione dello spazio di gioco e del come si gioca; le relazioni tra i giocatori (interazioni e interdipendenza). L’autocontrollo, in questo tipo di gioco, sviluppa il senso del limite, legato al non farsi male e al rispetto dell’avversario affinché si resti nel
la cornice ludica. In altri termini è il germe dello sviluppo morale, etico, in relazione ai temi della lealtà-slealtà, legittimità-illegittimità. I giochi competitivi, lungi dall’essere banditi, rappresentano un potente dispositivo educativo che l’adulto deve sostenere lasciando ai bambini il compito di organizzarli, modificarli, adattarli di volta in volta per renderli attuabili, sicuri e divertenti.
Dal gioco senso-motorio al gioco competitivo (embrione dei futuri giochi di regole) si dispiega un percorso educativo che consente al bambino di giocare il suo sviluppo attraverso la conoscenza di sé e dell’ambiente, la maturazione di competenze cognitive-emotive-sociali, la conquista di indipendenza-autonomia rispetto all’adulto e all’ambiente che lo circonda. Il bambino giocoso è una splendida realtà che spesso, in buona fede, l’adulto non comprende appieno.
NOTE
1 I termini bambino, educatore, insegnante, per semplicità espositiva, sono utilizzati come termini neutri che comprendono sia il genere maschile sia il genere femminile. Ciò vale per qualsiasi altro termine utilizzato nel presente contributo.
2 La motivazione intrinseca è interna a se stessi, non ha bisogno di rinforzi esterni. La motivazione estrinseca, invece, deriva da rinforzi o premi esterni a se stessi. Nel caso del gioco è l’attività in sé che produce motivazione e non qualcosa esterno ad essa che la rinforza in base al risultato raggiunto.
3 La presenza di piccoli giocattoli o attrezzi tende a impegnare maggiormente l’abilità manipolativa del bambino rendendolo più statico a causa della maggiore raffinatezza richiesta dal controllo coordinativo della mano nell’uso di questi ausili. La loro mancanza, invece, rende più dinamico il bambino che tenderà ad aumentare l’uso delle abilità legate ai grandi spostamenti (corsa, arrampicata, salto…). Non è detto che in un ambiente destrutturato, però, il bambino ricerchi ausili naturali (sassi, bastoncini, foglie…) per realizzare comunque attività manipolative. In questa situazione si stimolerà maggiormente la sua fantasia, creatività e capacità di risolvere problemi.
4 Per approfondimenti vedere Borsari e Ceciliani, 2008, 2009a e 2009b.
5 Con tale termine Aucouturier indica i giochi tendenti a mediare l’ansia dovuta al distacco dalla figura materna nei primi due-tre anni di vita.
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