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Lasciate che vi parli di foglie
Intervista all'autore Stefano Sturloni
Stefano Sturloni fa parte della specie, sempre più rara, dei “polymath”: i suoi interessi spaziano dall’erpetologia alla geologia, dalla paleontologia alla botanica, dalla speleologia fino alla fino alla fotografia naturalistica e artistica. Proprio come i suoi predecessori rinascimentali, anche Sturloni coniuga l’interesse scientifico con l’attenzione alla bellezza e alla varietà delle forme viventi. Da questo connubio è nato “Lasciate che vi parli di foglie”, un invito a prestare attenzione alle meraviglie che sfioriamo ogni giorno e che rappresentano la chiave più facile per recuperare quella connessione con la natura di cui abbiamo sempre più bisogno.
Partirei dal titolo del libro, garbato e al tempo stesso intrigante. Perché hai scelto di parlarci di foglie? Che cosa rappresentano per te?
Le foglie sono un soggetto di enorme portata educativa. Avvicinarle con spirito di ricerca riserva sempre qualche insospettabile sorpresa. Tuttavia, il loro essere dappertutto, in grande quantità, le rende ordinarie, scontate, diciamo pure pressoché invisibili. Si dimentica quanto siano determinanti nel dare carattere ai nostri orizzonti quotidiani, qualificando il paesaggio e gli ambienti che abitiamo. Proviamo soltanto a immaginare che mondo ci consegnerebbe una loro permanente assenza. Le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, ma non siamo capaci di coglierne la bellezza, la multiformità, le stranezze, le tracce delle innumerevoli relazioni che intrattengono con il vivente, sottovalutando, al tempo stesso, l’importanza che hanno per la nostra sopravvivenza, il nostro benessere.
Anche la scuola spesso le banalizza tramite approcci semplificati e rituali, mantenendosi salda al risaputo, quando invece potrebbe approfittare della loro gratuita disponibilità per avventurarsi negli ignoti che ci propongono, esponendosi al rischio altamente generativo dell’inatteso.
Proprio per questo, dopo tanti ascolti della loro taciturna eloquenza, avvenuti anche insieme ai bambini della scuola dell’infanzia, ho avvertito l’esigenza parlare di foglie. Mi premeva sottrarle all’ovvio, anche come gesto di riconoscenza, restituendone l’identità complessa attraverso un racconto articolato rivolto a tutti gli amanti della Natura, ma soprattutto a educatori e insegnanti, per dare estensione alle geografie esplorative del possibile.
Oltre che con la scrittura, racconti di foglie attraverso le fotografie che hai scattato nei tuoi vagabondaggi e con i disegni dei bambini di 14 scuole dell’infanzia. Che significato hanno per te le immagini? Quale rapporto hanno con quanto scrivi?
Fotografia e natura hanno sempre rappresentato per me un’unica passione. Confesso di essere affetto da un ossessivo bisogno di documentare tutto quello che mi colpisce e che, come tale, sollecita condivisioni. Anche la mia esperienza speleologica è stata vissuta ininterrottamente come fotografo, cercando di dare visibilità a un mondo per sua natura avvolto nell’oscurità. Lo spirito del libro non vi si discosta. Lasciate che vi parli di foglie non è una raccolta di esperienze didattiche, tantomeno un trattato botanico, il suo scopo è di fornire indirizzi allo sguardo, accompagnando il lettore all’osservazione di una realtà per certi versi spiazzante, un obiettivo che risulta facilitato da una stretta correlazione tra testo e immagini. Per come volevo raccontare le foglie non c’era altra scelta che dare concretezza alla parola ricorrendo a un cospicuo repertorio di fotografie, di riferimenti visivi capaci di restituire dettagli e singolarità altrimenti difficili da comprendere. Non è stravagante, quindi, che nel libro trovino ragione più di novecento immagini fotografiche.
A queste si aggiungono diverse illustrazioni, ma soprattutto i 217 disegni realizzati da bambine e bambini dai tre ai sei anni, una presenza credo davvero originale e significativa, non solo perché impreziosisce il volume con un tocco di leggerezza, ma perché ci fa capire quanto il tema delle foglie sia prossimo alla sensibilità dei più piccoli e come essi sappiano affrontarlo con pertinenza e creatività.
Accanto alle foglie, nel libro presenti anche una serie di esseri viventi minuscoli e curiosi che sulle e delle foglie vivono. Quali relazioni intercorrono tra i due mondi, animale e vegetale? Quali lezioni possiamo apprendere?
Un aspetto fondamentale del libro è proprio quello di presentare le foglie come uno snodo cruciale di relazioni. Non c’è storia che possa essere raccontata senza chiamare in causa altre storie, e di questo le foglie sono un formidabile esempio. Non solo hanno ottimizzato il dialogo biochimico con il sole inventato tre miliardi e mezzo di anni prima dai cianobatteri: la fotosintesi, ma si sono fatte respiro e carne di tutti i viventi, e dunque presupposto ineludibile della biosfera. Non c’è organismo, tranne confinate eccezioni, che non sia in debito con le piante per la propria esistenza. E le piante, il libro lo chiarisce con molte testimonianze fotografiche, altro non sono che un’emanazione delle foglie, una loro derivazione. “Tutto è foglia”, dichiarava Goethe già sul finire del Settecento, attribuendo ad esse l’origine di ogni assetto anatomico vegetale.
Detto questo, basta guardarsi attorno con un minimo d’attenzione per accorgersi di come le foglie rechino le impronte di una moltitudine di piccoli esseri. I loro lembi sono piattaforme di sosta, supporto per la deposizione delle uova, materiale costruttivo per ingegneristiche nursery, ricoveri per proteggersi o tendere agguati, banchetto di predatori che se le mangiano senza riguardo o con raffinatezza geometrica. Non si tratta forse di incredibili occasioni di ricerca, utili a farci capire quanto la Natura, con i suoi adattamenti, abbia da insegnarci? Si tenga conto che la grande varietà di forme escogitate dalle foglie non è dovuta a un esercizio evolutivo maturato in solitudine da ogni singola entità, ma si è sviluppata in concorso con altre specie e altri regni. Spine, pelurie, colori, profumi, tossine, cuticole, nonché strategie difensive e procreative di ogni genere, sono state disegnate insieme a collaboratori e nemici. Il riferimento riguarda un vasto campionario di risultati concreti, incontrabili ovunque, che costituiscono una coltura sorprendente di apprendimenti per bambini, ragazzi e adulti. Perché rinunciarvi?!
Sembri proporre una “pedagogia della fusione” con il mondo vivente, che non si basa solo sulla trasmissione di informazioni ma sulla scoperta e l’esplorazione con la vista, il tatto, l’olfatto e l’udito. Le foglie possono davvero suscitare la meraviglia nei più piccoli (e negli adulti curiosi esploratori accanto a loro) e portarli a riscoprire quella connessione con il vivente, la cui mancanza fa oggi sentire i suoi effetti?
Certamente. Quello di cui c’è bisogno oggi, per garantire un domani apprezzabile alle nuove generazioni, è una ricongiunzione sentimentale con il paesaggio, con il vivente; un senso di appartenenza che si costruisce con l’esperienza, senza prescrizioni, attraverso l’incontro in amicizia con l’alterità e con i luoghi. Occorre che fin dalla più tenera età bambine e bambini abbiano occasione di stare piacevolmente in Natura, il più possibile, esplorando il mondo con tutti i sensi, per sentirlo irrompere dentro di sé, emotivamente, così come accade al cospetto di ogni scoperta, di ogni consapevolezza nuova. È qui che trae vigore la dimensione estetica del conoscere, non nel prendere possesso delle cose, ma nell’esserne parte (Guerra, 2019, p. 105). Potersi stupire, possibilmente insieme ad adulti altrettanto sensibili verso ciò che li circonda e inclini a chiedersi il perché delle cose piuttosto che dare risposte, è la strada più efficace per rendere formativi gli apprendimenti, e non c’è dubbio, le foglie si prestano con grande generosità a questo sguardo. Impariamo ad ascoltarle e sarà meraviglia.